mercoledì 29 gennaio 2014

mutui: l'aliquota sulle detrazioni degli interessi rimane al 19%, ma i tempi per i rimborsi si fanno più lunghi

mutui: l'aliquota sulle detrazioni degli interessi rimane al 19%, ma i tempi per i rimborsi si fanno più lunghi

martedì, 28 gennaio, 2014     FonteRitratto di teamteam@idealista
mutui: l'aliquota sulle detrazioni degli interessi rimane al 19%, ma i tempi per i rimborsi si fanno più lunghi

i contribuenti italiani che usufruiscono del 19% sulle detrazioni fiscali possono stare tranquilli. sono saltati, infatti, i tagli previsti con la clausola di salvaguardia contenuta nella legge di stabilità 2014. nessuna riduzione al 18%, quindi, sugli interessi passivi e gli oneri accessori sui mutui ipotecari. peccato però che i tempi per i rimborsi si fanno sempre più lunghi
con la legge di stabilità, infatti, il governo ha introdotto alcune novità non di poco conto sul fronte del rimborso delle detrazioni. secondo quanto stabilito dalla legge, con effetto retroattivo, i contribuenti che nell'anno fiscale 2013 hanno maturato 4.000 euro o più di rimborsi, non li riceveranno più nella busta paga (o nel cedolino della pensione) del prossimo mese di luglio, ma li vedranno accreditati solo quando, dopo sei mesi, l'agenzia delle entrate avrà verificato il loro diritto a percepirli
in parole povere quel che cambia è questo: se prima la legge stabiliva che il mese successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi le detrazioni potessero essere accreditate direttamente in busta paga o con la pensione, adesso è necessario attendere che il fisco abbia compiuto tutti gli accertamenti necessari
per protestare contro questa nuova disposizione l'associazione altroconsumoha deciso di inviare al presidente del consiglio enrico letta e al ministro dell'economia fabrizio saccomanni una lettera con alcune proposte a riguardo e di raccogliere le firme per una petizione con la quale chiedere che i rimborsi continuino a essere erogati secondo le procedure previste finora
lanciando la petizione online, altroconsumo ha fatto sapere: "a partire dal 2014, con effetto sui modelli 730 del 2013, se il credito d'imposta scaturito dalla dichiarazione supera la soglia dei 4mila euro, potremmo non trovarlo sulla busta paga di luglio o sulla pensione di agosto. l'agenzia delle entrate, infatti, potrebbe bloccare il rimborso per almeno sei mesi, in modo da effettuare i controlli ed erogare il rimborso successivamente. questo significa che se hai fatto grosse ristrutturazioni edilizie (per altro incentivate in ogni modo dallo stato), se eroghi assegni all'ex coniuge, se hai sostenuto spese per disabili, se mantieni un disabile, un anziano in casa di riposo o se hai pagato acconti in eccesso, perché hai cambiato lavoro, potresti non ricevere il rimborso nei tempi normali, ma dover aspettare fino al 2015"
ecco la comunicazione ufficiale di palazzo chigi, con cui è stato annunciato il blocco dell'automatica riduzione delle aliquote sulle detrazioni fiscali: "il governo ritiene che la sede più opportuna per esercitare l'intervento di razionalizzazione delle detrazioni, così come previsto dal comma 575 della legge di stabilità 2014, sia la delega fiscale attualmente in approvazione in parlamento. a tal fine, anche con l'obiettivo di evitare qualsiasi ulteriore aggravio fiscale, il governo provvederà, con apposito provvedimento, ad abrogare il comma 576 della legge di stabilità 2014 e di conseguenza non vi sarà alcuna riduzione delle detrazioni attualmente in vigore. la copertura sarà assicurata incrementando gli obiettivi di risparmio previsti dalla revisione della spesa aggiungendovi, pertanto, le cifre stabilite nel comma 575 della stessa legge"

super anagrafe del fisco, ecco come verranno controllati i conti correnti

super anagrafe del fisco, ecco come verranno controllati i conti correnti

mercoledì, 29 gennaio, 2014  FONTERitratto di teamteam@idealista
gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari avranno tempo fino al 31 gennaio per inviare all'agenzia delle entrate i dati riguardanti i movimenti bancari del 2011, che verranno raccolti nella super anagrafe. uno strumento con il quale si vogliono individuare i potenziali evasori fiscali. a partire del primo febbraio scatteranno i controlli. ma ecco come procederà il fisco
i dati relativi ai movimenti dei conti correnti che verranno inviati sono:
- saldo iniziale e finale
- dati identificativi del rapporto riferito al soggetto persona fisica o non fisica che ne ha la disponibilità, inclusi procuratori e delegati, e a tutti i cointestatari nel caso di intestazione a più soggetti
- rapporti accesi e chiusi nel corso dell'anno
- dati relativi agli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua
qualora il fisco, una volta analizzati i diversi dati, dovesse riscontrare delle anomalie dovrà procedere all'incrocio dei dati finanziari con le informazioni fiscali e patrimoniali presenti in anagrafe tributaria. è a questo punto che si arriverà agli elenchi definitivi che verranno poi inviati agli uffici territoriali per i controlli veri e propri
se entro il 31 gennaio 2014 gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari dovranno aver inviato i dati riguardanti i movimenti bancari del 2011, il 31 marzo 2014 sarà la data entro cui verranno inviati i dati relativi al 2012

mutui si volta pagina: approvate in via definitiva le nuove regole per renderli più corretti e trasparenti

mutui si volta pagina: approvate in via definitiva le nuove regole per renderli più corretti e trasparenti

mercoledì, 29 gennaio, 2014    Fonte Ritratto di teamteam@idealista
gli stati membri avranno tempo fino al 2015 per recepirle
gli stati membri avranno tempo fino al 2015 per recepirle
dopo il nulla osta del parlamento europeo, anche il consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo alle nuove regole sui mutui. i singoli stati membri avranno tempo fino al 2015 per recepire la direttiva che rivoluzionerà il settore dei prestiti per comprare casa rendendoli più trasparenti, ponendo fine così alle pratiche scorrette delle banche
l'approvazione in via definitiva delle regole da parte dell'ecofin rappresenta un tentativo di voltare pagina, mettendo fine alle regole scorrette che hanno portato allo scoppio del credit crunch nel 2008. la direttiva copre le ipoteche su immobili residenziali, immobili residenziali che comprendono uno spazio d'ufficio e terreni edificabili. in particolare le nuove regole si occuperanno di:
informazioni precontrattuali - chiunque contragga un mutuo nell'ue dovrebbe ricevere informazioni comparabili sui prodotti disponibili che comprendono il costo totale e le conseguenze finanziarie nel lungo periodo previste dal prestito. le condizioni di credito offerte ai mutuatari dovrebbero corrispondere alla loro situazione finanziaria attuale e tener conto delle loro prospettive e delle possibili regressioni
gli acquirenti, poi, dovrebbero poter usufruire di un periodo di riflessione obbligatorio di sette giorni prima della sottoscrizione del prestito, oppure di sette giorni per esercitare il diritto di recesso dopo la conclusione del contratto
durante il periodo contrattuale - tra le norme inserite ci sono il diritto del mutuatario di rimborsare il prestito iniziale, il diritto del creditore a un equo indennizzo per il rimborso anticipato e il divieto di chiedere ai mutuatari di pagare penali per il rimborso anticipato
per i prestiti erogati in valuta estera, prima della firma del contratto il mutuatario deve essere informato che l'importo delle rate da corrispondere potrebbero aumentare. oppure per il mutuatario potrebbe essere consentito cambiare la valuta, a determinate condizioni e al tasso di cambio indicato nel contratto di prestito
protezione contro l'inadempienza - prevista una norma in base alla quale la restituzione delle garanzie, come la proprietà stessa, sarà sufficiente a rimborsare il prestito, a condizione che il creditore e il debitore lo abbiano esplicitamente accettato nel contratto di prestito
qualora un beneficiario non rimborsi il prestito, la legislazione dovrebbe includere requisiti per la vendita della proprietà volte a ottenere "il miglior prezzo possibile", per agevolare il rimborso del debito residuo, in modo da proteggere i consumatori e prevenire il loro indebitamento eccessivo per lunghi period
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imu-bankitalia: inizia il conto alla rovescia, si approva il decreto o si paga l'imposta

imu-bankitalia: inizia il conto alla rovescia, si approva il decreto o si paga l'imposta

mercoledì, 29 gennaio, 2014     Fonte Ritratto di teamteam@idealista
scade il termine dei 60 giorni per l'approvazione
scade il termine dei 60 giorni per l'approvazione
scontro sul decreto imu-bankitalia, che contiene anche la norma relativa all'abolizione della seconda rata dell'imposta sulla prima casa. scadono il 29 gennaio i sessanta giorni a disposizione del parlamento per la conversione del dl, ma in aula il clima è rovente. qualora decadesse gli italiani si troverebbero costretti a mettere (di nuovo) mano al portafoglio
il movimento 5 stelle ha presentato ordini del giorno a ripetizione per ostacolare la conversione del decreto. un'azione mirata, soprattutto, ad impedire il via libera al nuovo assetto proprietario della banca d'italia. l'ostruzionismo del movimento guidato da beppe grillo è stato criticato da più parti e in molti accusano il leader pentastellato di voler far pagare agli italiani la seconda rata dell'imu 2013
la presidente della camera, laura boldrini, ha fatto sapere di non voler utilizzare la norma del regolamento della camera che consente di far cadere in blocco anche gli ordini del giorno per mettere a votazione un testo a prescindere dalla fase di discussione, garantendo di fatto la conversione del decreto. ma ha anche sottolineato che non è possibile permettere che il decreto decada, "con la disastrosa conseguenza di costringere gli italiani a versare la seconda rata dell'imu sulla prima casa"
ma su questo punto i rappresentanti del movimento cinque stelle - secondo i quali il presidente della repubblica giorgio napolitano starebbe avallando sempre di più i giochi di potere della maggioranza - hanno risposto in modo chiaro, affermando: "non è vero che se non si approva il decreto si pagherà l'imu. il parlamento può decidere di scorporare una parte del decreto e approvarlo". qualsiasi ipotesi di scorporo, però, è stata ritenuta impraticabile

 

affitto, contratti validi anche senza attestato di prestazione energetica

affitto, contratti validi anche senza attestato di prestazione energetica

mercoledì, 29 gennaio, 2014              FONTE  Ritratto di teamteam@idealista
affitto, contratti validi anche senza attestato di prestazione energetica

Nell'ingorgo normativo di fine anno che ha generato norme contrastanti sull'obbligo di allegare l'ape, un'importante novità entrata in vigore con il dl destinazione italia riguarda l'affitto. a partire da dicembre infatti l'attestato di prestazione energetica deve essere allegato solo ai contratti di locazione aventi ad oggetto interi edifici e non singole unità immobiliari
oltre a sostituire la nullità degli atti privi di certificazione con una sanzione dai 3mila ai 18mila euro, il decreto legge n145 del 2013 ha introdotto un'importante novità per i contratti di locazione. l'obbligo di allegare e consegnare l'attestato vale solo per i nuovi contratti di locazioni avente ad oggeto interi edifici e non singole unità immobiliari
a partire dal 24 dicembre 2013, data di entrata in vigore del decreto, l'ape deve essere allegato solo per le nuove locazioni di interi edifici. per l'affitto di singole unità immobiliari rimane solo l'obbligo per il locatore di informare il proprio conduttore sulla prestazione energetica dell'immobile che si dà in locazione, senza però allegare l'attestato

venerdì 24 gennaio 2014

LOCAZIONI COMMERCIALI: DODICI MESI PER IL RECESSO

LOCAZIONI COMMERCIALI: DODICI MESI PER IL RECESSO

Sono conduttore di un locale commerciale, con un contratto della lunghezza di sei anni più sei, stipulato nel 2012, che avrei necessità di risolvere anticipatamente. Tra le clausole del contratto esiste quella della risoluzione con un periodo di preavviso di 12 mesi. Non è possibile ridurre questo termine a sei mesi?
Un contratto di locazione a uso commerciale ha la durata minima di sei anni, al termine dei quali il conduttore può dare disdetta con 12 mesi di preavviso, senza motivare le ragioni della propria volontà. Il locatore, al contrario, al termine del primo periodo di sei anni può dare disdetta, sempre con un preavviso di 12 mesi, unicamente nel caso in cui sussista una delle ipotesi previste dall'articolo 29 della legge 392 del 1978 (equo canone). Inoltre il solo conduttore, ove contrattualmente previsto, ha facoltà di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore mediante lettera raccomandata almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione (articolo 27, comma settimo). Il successivo comma ottavo dello stesso articolo prevede poi che, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con un preavviso, contenente la specificazione dei gravi motivi, di almeno sei mesi da comunicare con lettera raccomandata. Questa ulteriore ipotesi necessita, come precisato dalla giurisprudenza, che i gravi motivi siano sopravvenuti nel corso del rapporto locatizio e che non siano causati dalla volontà del conduttore. Il locatore può contestarne la sussistenza o la gravità: in caso di contestazione valuterà il giudice se i motivi addotti per interrompere anticipatamente il contratto rientrino nella previsione di legge.Il locatore può pertanto recedere dal contratto, in assenza delle ipotesi previste dall'articolo 29, solo alla scadenza del 12º anno, previo preavviso di almeno 12 mesi. Ciò, ovviamente, salvo accordo raggiunto con il conduttore per una risoluzione anticipata del rapporto.
FONTE : CASA24PLUS daL'ESPERTO RISPONDE

MUTUO, DETRAIBILITÀ ANCHE CON IPOTECA SU ALTRE CASE

Per l'acquisto di una prima casa all'asta, si stipula un mutuo. La banca iscrive ipoteca sull'immobile del garante e, alla stipula, fornisce assegni circolari intestati al notaio per il pagamento. L'agenzia delle Entrate contesta la detrazione degli interessi passivi, in quanto non è stata iscritta ipoteca su tale prima casa. Va precisato che, appena è stato possibile, si è proceduto al cambio del mutuo dando in garanzia ipotecaria anche la prima casa acquistata all'asta. È giusta la contestazione dell'agenzia delle Entrate?
Al paragrafo 2.4, la circolare 7/E/2001 dell'agenzia delle Entrate ha precisato che, ai fini della detrazione degli interessi passivi derivanti dal mutuo ipotecario contratto per l'acquisto dell'abitazione principale (lettera b, articolo 15 del Tuir), non è richiesto che l'ipoteca venga iscritta sulla unità immobiliare stessa, potendo essere effettuata anche su un immobile diverso da quello finanziato.
FONTE : CASA24PLUS da L'ESPERTO RISPONDE

UN PATTO SCRITTO SULL'USO DEL DEPOSITO CAUZIONALE

UN PATTO SCRITTO SULL'USO DEL DEPOSITO CAUZIONALE

L' importo destinato quale caparra può essere utilizzato (previo accordo stipulato con l'inquilino ad inizio contratto) a fini migliorativi dell'appartamento nel caso si presentassero necessità straordinarie?
Dal quesito sembra di capire che la caparra di cui si parla sia il deposito cauzionale. Questo ha la funzione di garantire il locatore della riconsegna dell'immobile in buone condizioni alla scadenza contrattuale. Senza l'accordo del conduttore, il relativo ammontare non può essere utilizzato per altri scopi. È, quindi, necessario che vi sia un patto scritto e registrato da cui risulti espressamente l'utilizzo della caparra per fini migliorativi dell'appartamento, con rinuncia da parte del conduttore a richiedere la restituzione di questa somma al termine del contratto.
FONTE :CASA24PLUS da L'ESPERTO RISPONDE

La fiducia torna in grande stile sul mattone italiano

La fiducia torna in grande stile sul mattone italiano





La fiducia torna in grande stile sul mattone italiano. Gli investitori esteri sono sempre più coinvolti in un mercato che sta riprendendo forza dopo un periodo negativo dovuto alla crisi.
Torna a crescere l’interesse e la fiducia sul nostro mercato. Gli investitori stranieri hanno recentemente chiuso diversi investimenti nel bel paese che superano i 2 miliardi di euro. A far da traino è il repricing, ovvero, detto in parole semplici, l’aggiustamento dei prezzi che seppur gradualmente è finalmente arrivato a livelli tali da destare intresse.
Prezzi e rendimenti quindi si muovono verso una direzione positiva per chi decide di investire: Morgan Stanley e Goldman Sachs sono solo due dei player che hanno deciso di tornare in Italia ma capitali arrivano anche dalla Russia e dagli investitori asiatici.
I grandi investimenti del 2013 come ad esempio quello di Blackstone per la sede storica del Corriere della sera o quello di Qatar Holding che ha acquistato il 40% delle quote delquartiere di Porta Nuova sono esplicativi di come è cresciuto l’interesse per il mattone del bel paese. L’attenzione degli investitori si focalizza soprattutto sul settore alberghiero, quello commerciale e l’intramontabile comparto degli immobili di pregio: laspettative  di investimento sono positive, proprio grazie al repricing e al conseguente rialzo dei rendimenti lordi che superano di gran lunga quelli di altri paesi europei.
Un chiaro segnale di ripresa del comparto immobiliare italiano su cui anche gli analisti puntano con ottimismo per le prossime previsioni.
Fonte : ATTICO.IT

Non rientra tra i poteri dell’amministratore quello di ricorrere in Cassazione contro la sentenza che condanna il condominio al pagamento delle competenze del suo predecessore

Non rientra tra i poteri dell’amministratore quello di ricorrere in Cassazione contro la sentenza che condanna il condominio al pagamento delle competenze del suo predecessore 

24/01/2014
di Alessandro Gallucci


La saga, così può essere definita fuori dal linguaggio giuridico, delle sentenze riguardanti la competenza giudiziale dell’amministratore di condominio si arricchisce di un nuovo capitolo. 
 
Innanzitutto è bene inquadrare la questione nei suoi aspetti fondamentali. 
 
Legittimazione attiva e passiva dell’amministratore condominiale
 
L'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato” (così, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 9148/08). 
 
Questa è la sostanza giuridica del rapporto tra amministratore e condominio espressa per lungo tempo dalla Suprema Corte di Cassazione e di seguito esplicitamente accolta dal legislatore nel testo del codice civile (cfr. art. 1129, quindicesimo comma, c.c. così come modificato dalla legge n. 220/2012). 
 
Il mandatario del condominio, in ragione del proprio potere di rappresentanza dei condomini in relazione alle parti comuni dell’edificio, ha un potere d’azione che si sostanza tanto nel compimento di azioni stragiudiziali (es. pagamenti, riscossioni, stipule contratti), tanto nella possibilità di agire e resistere in giudizio nelle cause che riguardano il condominio. 
 
Tutto ciò è sancito dall’art. 1131 c.c., il cui primo comma, ad esempio, recita: 
 
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.
 
Il condomino non paga le rate? L’amministratore può agire per ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento. 
 
Il condomino non rispetta il regolamento condominiale? L’amministratore può fargli causa per ottenere tale risultato. 
 
Un terzo non rispetta la servitù di passaggio esistente fin dalla nascita della compagine? Idem, l’amministratore può agire per le vie legali per ottenere la tutela dei diritti dei condomini. 
 
Il secondo e terzo comma dell’art. 1131 c.c., riguardante le cause nelle quali il condominio è citato in giudizio, recitano: 
 
Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. 
 
Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini.
 
La norma ha creato grossi problemi interpretativi: per lungo tempo s’è detto che per qualunque azione riguardante il condominio si poteva chiamare in causa l’amministratore ed egli era sempre legittimato a partecipare all’azione anche se la materia non era inclusa tra quelle di sua competenza. In tal caso, si diceva, le responsabilità per l’omessa informazione dei condomini ricadono solamente nei rapporti interni. Questa voce non era l’unica, sebbene rappresentasse l’orientamento maggioritario, e spesso sorgevano incertezze e contrasti interpretativi sulla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio. 
 
Le Sezioni Unite hanno risolto la questione più o meno in questo modo: nelle azioni attive e passive riguardanti la gestione del condominio, l’amministratore può agire e resistere nel limite dei propri poteri. Nella altre egli può agire ed essere chiamato in causa previa delibera di autorizzazione o grazie alla ratifica della propria azione da parte dell’assemblea. Diversamente deve arriva resi alla conclusione che l’amministratore è carente di legittimazione a stare in giudizio (cfr. Cass. SS.UU. n. 18331-2/2010). 
 
Ergo: se si tratta di azioni intraprese dall’amministratore, esse devono essere dichiarate inammissibili, mentre se l’amministratore è chiamato in causa il condominio sarà contumace. 
 
La sentenza, tuttavia, non sempre è stata ben interpretata ed ha fatto si che tutte le azioni, quali ad esempio ricorsi per cassazione, appelli, ecc. fossero soggetti alla preventiva autorizzazione assembleare anche se chiaramente rientranti nelle attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c. 
 
In un caso recentemente risolto dalla Cassazione si litigava in merito alla condanna del condominio al pagamento delle spettanze di un precedente amministratore di condominio. L’attuale amministratore non condivideva la sentenza di condanna della Corte d’appello e la impugnava. 
 
Secondo gli ermellini doveva “ essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio, senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali l'organo amministrativo è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 1130 c.c. e dell'art. 1131 c.c., comma 1, come appunto nella fattispecie (Cass. n. 2179/2011; S.U. n. 189331 del 2010) (Cass. 27 dicembre 2013 n. 28701). 
 
In effetti questo materia non è indicata tra quelle inserite nell’art. 1130 c.c. e di conseguenza le azioni giudiziali che la riguardano devono essere decise dall’assemblea.

Condominio Web
Fonte : condominioweb.com

Il sottotetto è condominiale o del singolo condomino? Per saperlo bisogna guardare al primo atto di vendita (o alla natura del bene).

Il sottotetto è condominiale o del singolo condomino? Per saperlo bisogna guardare al primo atto di vendita (o alla natura del bene).

24/01/2014
di Alessandro Gallucci


Il fatto che l’atto d’acquisto d’una unità immobiliare, ubicata all’ultimo piano di un edificio in condominio, faccia intendere che il sottotetto dev’essere considerato parte integrante di quest’ultima, non ha alcun valore se non si ha prova che esso è conforme a quanto specificato nel primo atto di cessione a seguito del quale è sorto il condominio. 
 
Detta diversamente: una parte che fin dalla nascita del condominio è da ritenersi di proprietà comune (o esclusiva) non può essere considerata oggetto di cessione nei successivi atti d’acquisto. 
 
Questo in sintesi, il cuore della sentenza n. 28141, resa dalla Suprema Corte di Cassazione il 17 dicembre 2013.
 
La pronuncia degli ermellini si fa notare anche per due altri motivi che rappresentano una conferma di altrettanti orientamenti del Supremo Collegio: 
 
1) ilmomento in cui si deve considerare sorto il condominio; 
 
2) le caratteristiche strutturali che consentono di individuare la natura, condominiale o meno, del sottotetto. 
 
Il caso che ha portato alla sentenza in esame è di quelli molto ricorrenti nelle aule di giustizia italiane: un condomino, proprietario di un’unità immobiliare ubicata all’ultimo piano dell’edificio, esegue dei lavori e, così facendo, annette il sottotetto alla sua proprietà. 
 
Il condominio non ci sta e gli fa causa: quella parte d’edificio è comune e quindi quei lavori sono illegittimi. Che il sottotetto sia restituito all’uso della collettività: questa la richiesta al giudice adito. Il condomino, invece, ritiene che quella parte dell’edificio debba essere considerata di sua esclusiva proprietà. 
 
La causa, tra alterne vittorie (in primo grado la spunta il condominio, in secondo il comproprietario) finisce davanti ai giudici di piazza Cavour, i quali cassano con rinvio (ossia annullano) la sentenza di secondo grado. 
 
Vediamo perché. 
 
L’atto da cui può essere valutata la natura condominiale o meno di una parte dell’edificio è il primo atto di cessione della prima unità immobiliare da parte dell’originario unico proprietario; da questo momento, infatti, dev’essere considerato sorto il condominio e quindi da quell’atto si può comprendere quali cose, siano state messe il condominio. I successivi atti d’acquisti devono essere conformi a questo, altrimenti devono considerarsi errati sul punto. 
 
È questa la prima conferma di cui parlavamo, ossia quella riguardante il momento della nascita del condominio. 
 
In più d’una occasione, infatti, la Cassazione ha specificato che “ il condominio sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio” (così Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829). 
 
E se gli atti non dicono nulla? Il sottotetto dev’essere considerato parte di proprietà comune o esclusiva? 
 
A questo punto, vale a dire nel silenzio degli atti, bisogna guardare alla funzione svolta da questa parte dell’edificio. 
 
Nella sentenza n. 28141/13 si legge che nel silenzio dei titoli (atti d’acquisto e/o regolamento contrattuale), il sottotetto “ può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo” (Cass. 17 dicembre 2013, n. 28141). Nel caso di specie, non solo i giudici avevano errato nella valutazione degli atti d’acquisto (negli atti del giudizio non v’era il primo atto ma solamente quello del condomino litigante) ma non avevano nemmeno valutato correttamente la natura del sottotetto alla luce di questo principio. 
 
Tale principio, è ben ricordarlo, è stato sostanzialmente ripreso dalla riforma del condominio che modificando l’art. 1117 c.c. ha menzionato il sottotetto tra le parti comuni, se la natura e le sue caratteristiche strutturali consentano di considerarlo tale. 
 
In definitiva nella controversia sottesa alla sentenza n. 28141 tutto è ancora da definire, ma in linea generale, la Cassazione conferma i propri consolidati orientamenti.

Condominio Web
Fonte : condominioweb.com

Prime applicazioni giurisprudenziali della Riforma in tema di distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato. Un problema di contrasto tra le norma del Codice civile e le normative regionali.

Prime applicazioni giurisprudenziali della Riforma in tema di distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato. Un problema di contrasto tra le norma del Codice civile e le normative regionali.

23/01/2014
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo - Ivan Meo


(Tribunale di Torino, ordinanza del 20 gennaio 2014)
 
Con la recente ordinanza del 20 gennaio 2014, il Tribunale di Torino ha applicato le nuove disposizioni dettate dal quarto comma dell’art. 1118 c.c.,autorizzando il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato richiesto dal condomino, all’esito della verifica circa l’assenza di eventuali pregiudizi per gli altri condomini.
 
Il caso. Il Tribunale piemontese si è pronunciato sulla richiesta di distacco dall’impianto centralizzato avanzata dal condomino, in attuazione della nuova disposizione codicistica citata, che consente di staccarsi dall’impianto di riscaldamento condominiale,se da esso non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.
 
Il Condominio si era opposto, rilevando che il distacco era vietato dal regolamento condominiale di natura contrattuale, e che, inoltre, lo stesso era da ritenersi contrario alla normativa regionale, che impone l’obbligo d’impianti centralizzati negli edifici composti da più di 4 unità immobiliari.
 
Il Giudice ha accolto la domanda del condomino, subordinando il distacco richiesto all’accertamento delle condizioni richieste dall’art. 1118, comma 4, c.c. per poter rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento (“se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”).
 
Cosa prevede la Riforma? Il legislatore ha introdotto, all’art. 1118 c.c., un comma finale, ai sensi del quale «il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma». Peraltro, già gli stessi giudici di legittimità si sono pronunciati in tal senso: «il condomino può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini; ne consegue che la delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, respinga la richiesta di autorizzazione al distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune» (Cass. 3 aprile 2012, n. 5331). In realtà prima di procedere al distacco è necessario preliminarmente valutare quanto disposto dalle norme del regolamento di condominio, del regolamento edilizio comunale e delle eventuali leggi regionali in materia.  
 
I limiti del regolamento condominiale. In ordine al divieto di distacco previsto nel regolamento contrattuale, l’ordinanza richiama un precedente della Corte di cassazione (sentenza n. 19893/2011),secondo cui non osta al distacco la natura contrattuale della norma impeditiva contenuta nel regolamento di condominio, in quanto quest'ultimo è contratto atipico le cui disposizioni sono meritevoli di tutela solo ove regolino aspetti del rapporto per i quali sussista un interesse generale dell'ordinamento: “il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini, non può derogare alle disposizioni richiamate dall'art. 1138, quarto comma, c.c. e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga all'art. 1102 c.c. non dichiarato inderogabile. Il che non è ravvisabile, anzi è il contrario, quanto al distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato ed alla loro trasformazione in impianti autonomi, per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, giacché proprio l'ordinamento ha mostrato di privilegiare, al preminente fine di interesse generale rappresentato dal risparmio energetico, dette trasformazioni e, nei nuovi edifici, l'esclusione degli impianti centralizzati e la realizzazione dei soli individuali; in secondo luogo, giacché la "ratio" atipica dell'impedimento al distacco non può meritare la tutela dell'ordinamento in quanto espressione di prevaricazione egoistica anche da parte di esigua minoranza e di lesione dei principi costituzionali di solidarietà sociale”. Con questa sentenza i Giudici, non si limitano a riconoscere il diritto del singolo condomino di procedere al distacco del proprio appartamento dalla rete condominiale ma evidenzia un ulteriore principio: le norme sul risparmio energetico servono a concretizzare l'esistenza del preminente interesse generale a non ostacolare tali operazioni. Occorre tener presente che l'impianto di riscaldamento autonomo è più efficiente rispetto a quello condominiale. Il Legislatore, allo scopo di promuovere il risparmio energetico e di ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera - da un lato - ha incentivato la trasformazione degli impianti condominiali in impianti autonomi mentre - dall'altro - ha addirittura vietato, per le nuove costruzioni, che vengano realizzati impianti di riscaldamento centralizzati, per tali motivi la Cassazione, con la sentenza richiamata, giustifica la separazione della singola unita immobiliare dall'impianto comune con l'esigenza di contenere il risparmio energetico. 
 
Il “conflitto” con la legislazione regionale. L’ordinanza che si commenta solleva una possibile limitazione: va verificato se il Comune in cui è ubicato l'immobile non abbia stabilito sul proprio regolamento edilizio il divieto di distacco da impianto centralizzato. Alcuni Comuni d’Italia tendono ad incentivare gli impianti centralizzati di riscaldamento in quanto hanno un impatto minore in termini di inquinamento. Alcune Regioni, esercitando la concorrente potestà legislativa in materia, hanno introdotto da tempo divieti o limitazioni all’installazione di impianti termici individuali. Nel caso di specie, trattandosi di un argomento  che intacca anche il tema dell'efficienza energetica degli impianti termici, tale problematica ricade nell'ambito "energia", materia concorrente di competenza regionale. Questo significa che le Regioni possono dettare discipline più rigorose rispetto ai dettami nazionali, limitando o vietando il distacco. Ed è proprio a questo principio che richiama la Regione Piemonte, in una Circolare del 27 febbraio 2013 dove ha chiarito che debbano essere seguite le prescrizioni definite nella Delibera della Giunta Regionale 4 agosto 2009, n. 46-11968: "la Regione Piemonte - in un'ottica di maggiore salvaguardia della qualità dell'aria e del miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici piemontesi - più che imporre limiti alla facoltà del singolo condominio di optare per il distacco dall'impianto termico centralizzato, ha ritenuto di vietare interventi finalizzati alla trasformazione di impianti termici centralizzati in impianti termici con generazione di calore separata per singola unità abitativa, fatta eccezione per i casi di deroga espressamente previsti” .
 
Quanto al divieto di distacco previsto dalla legge regionale, il Giudice ha osservato che la causa in oggetto verte sui diritti del singolo condomino e sui rapporti tra i partecipanti al condominio, mentre l’art. 117 della Costituzione riserva allo Stato la competenza per l’ordinamento civile e penale. In tale ottica, il Tribunale ha ritenuto di poter escludere l’applicabilità delle norme regionali alle cause in tema di distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato in condominio.
 
I rapporti tra leggi regionali e statali: analisi critica. La decisione in commento, che rappresenta una delle prime applicazioni della nuova disposizione introdotta dalla legge di riforma n. 220/2012, sembra prestare il fianco a diversi rilievi critici.
Analizziamole:
 
non è del tutto pacifico che il 4° comma dell’art. 1118 c.c. non possa essere derogato dal un regolamento contrattuale di condominio, atteso che solo il 2° comma dall'art. 1118 è dichiarato inderogabile;
la decisione di non considerare la normativa regionale può valere unicamente per le delibere di giunta regionale, che sono atti amministrativi, ma non anche per le leggi regionali che, nel nostro ordinamento, hanno la stessa efficacia delle leggi dello Stato, per cui il giudice non può limitarsi a disapplicarle, ma ha l'obbligo di sollevare (eventualmente) la questione di costituzionalità.
se è vero che la normativa regionale di natura amministrativa non può intromettersi nei rapporti privatistici, è altrettanto vera la sua validità per la sistemazione degli impianti termici.
una delibera di giunta può fissare in modo vincolante nella Regione le modalità per progettare, realizzare e condurre l'impianto centralizzato, che ha rilievo in materia di energia e di inquinamento.

 
A quanto, già dalle prime applicazioni giurisprudenziali, la nuova normativa condominiale inizia a mostrare il fianco ad alcune criticità ancora tutte da esaminare.

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Fonte : condominioweb.com