giovedì 16 maggio 2013

Perché lo stato di degrado della facciata dell'edificio non può essere considerato un vizio dell'appartamento?

Perché lo stato di degrado della facciata dell'edificio non può essere considerato un vizio dell'appartamento?

15/05/2013
di Alessandro Gallucci



Tizio vende a Caio un’unità immobiliare ubicata nel condominio Alfa; dopo poco tempo l’assemblea, condomino Caio, delibera l’esecuzione di lavori straordinari di rifacimento della facciata.

Caio non ci sta, o meglio, ritiene di non dover pagare e, tra le altre cose, motiva la sua presa di posizione sostenendo che lo stato di degrado della facciata dell’edificio dovesse rappresentare un vizio del bene compravenduto.

Norma di riferimento di questa presa di posizione, l’addentellato normativo, come si suol dire, è l’art. 1490 c.c., riguardante Garanzia per i vizi della cosa venduta, che recita:

Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.

Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.

Il fatto è realmente accaduto e la causa che ne è derivata è arrivata fino alle aule della Corte di Cassazione.

I giudici di piazza Cavour, come quelli di secondo grado la cui sentenza veniva impugnata da Caio, hanno respinto le argomentazioni di quest’ultimo.

Motivo? Le condizioni del palazzo, nella specie quelle della facciata, sono una caratteristica dell’unità immobiliare in esso collocata.

Si legge nella sentenza che la Corte d’appello “in modo adeguato e logico ha, per un verso, escluso che lo stato di degrado delle facciate del fabbricato condominiale (così come di altre parti comuni, in generale), nel quale era ubicato l'immobile oggetto della compravendita, potesse costituire propriamente un vizio del bene di tale contratto, risolvendosi, piuttosto, in una caratteristica o qualità dell'immobile che, pacificamente, non era di recente costruzione e, quindi, non si sarebbe potuto considerare nuovo, e, per altro verso, in base ad accertamento di fatto congruamente apprezzato (e, perciò, incensurabile nella presente sede di legittimità: cfr. Cass. n. 15395 del 2000; Cass. n. 5251 del 2004 e Cass. n. 3644 del 2007), ha evidenziato come tale situazione (caratterizzante l'edificio condominiale e, come tale, implicante la necessità di interventi di manutenzione straordinaria) fosse evidente e palesemente visibile, onde non poteva qualificarsi né come occulta né come sconosciuta all'acquirente (che, peraltro, rivestiva la qualifica, particolarmente idonea allo scopo, di mediatore professionale di compravendite immobiliari), il quale aveva stimato il valore del negozio (oggetto della vendita, unitamente alle sue pertinenze e alla quota di parti comuni) nella "situazione di fatto in cui si trovava", che, oltretutto, aveva indubbiamente influito sulla determinazione del prezzo da corrispondere per l'alienazione dell'immobile” (Cass. 2 maggio 2013 n. 10239)..

Come dire: non si poteva parlare nemmeno di vizio occulto e per di più chi comprava (il nostro Caio) era esperto delle settore immobiliare.

“Alla stregua di tali argomentazioni la Corte lombarda ha motivatamente ritenuto che, trattandosi della vendita di un bene appartenente ad un edificio condominiale certamente non nuovo (ed anzi di costruzione molto risalente nel tempo), il concreto (ed accertato) stato di vetustà ("evidente e visibilissimo") integrasse una caratteristica o qualità negativa del bene stesso (v. Cass. n. 5251 del 2004 e Cass. n. 23346 del 2009) che non era propriamente riconducibile al concetto di vizio come enucleato nell'art. 1490 c.c. (la cui garanzia, in ogni caso, si sarebbe dovuta considerare esclusa, ai sensi dell'art. 1491 c.c., stante la conoscenza di tale stato di degrado nella sua manifestazione esteriore o, comunque, la facile riconoscibilità di tale condizione, per come adeguatamente accertato in fatto dalla stessa Corte territoriale: cfr. Cass. n. 38 del 1979 e, da ultimo, Cass. n. 1258 del 2013), senza che, perciò, nella fattispecie, si fossero venuti a configurare i presupposti per l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1495 c.c.” (Cass. 2 maggio 2013 n. 10239).

Insomma se si compra casa in un palazzo “che non sta messo poi così bene”, non ci si può lamentare se da lì a poco si è costretti a sostenere spese per la sua manutenzione. Meglio trattare sul prezzo.

Fonte : CondominioWeb.com

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