Il condominio può ottenere la demolizione di opere realizzate dal singolo proprietario qualora contrastino con il decoro e l'aspetto dell'edificio. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione dando ragione ai condomini di uno stabile di Udine che avevano citato in giudizio il proprietario dell'appartamento all'ultimo piano colpevole di aver costruito sulla terrazza una struttura definita dagli stessi ricorrenti esteticamente brutta.
Una soluzione, quella adottata dalla Corte, che nel bilanciare gli interessi in gioco fa prevalere il principio estetico difeso dai condomini sul diritto del singolo proprietario a eseguire lavori nel rispetto delle norme di legge. Una posizione che ricalca quanto stabilito per l'installazione dei condizionatori sulle facciate dei palazzi, ammessa a patto che non danneggi il decoro dell'edificio (Cassazione n. 1286/10). Allo stesso modo ogni manufatto che cambi l'originario decoro anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato è da considerarsi a rischio demolizione. La valorizzazione di un parametro estetico, per valutare la legittimità dell'intervento del condomino, costituisce un appiglio fondamentale per i ricorsi di simile natura. La sentenza (Cassazione n.10048/2013) apre, infatti, nuove possibilità per combattere opere non gradite anche quando l'edificio non sia sottoposto a vincolo o classificato come immobile di pregio storico.
Come specifica il testo della decisione, il singolo proprietario che voglia eseguire interventi di sopraelevazione sul terrazzo o lastrico solare o costruire nuove strutture rispetto a quelle già esistenti non deve solo rispettare le norme condominiali, ma è obbligato a tenere conto sia dell'aspetto architettonico sia del decoro architettonico dell'edificio. «È vero – spiegano i giudici – che i due concetti esprimono due fenomeni diversi, ma in qualche modo, come in questo caso, l'uno non può prescindere dall'altro: trattasi infatti di un manufatto di discreta volumetria che occupa gran parte dell'originario terrazzo dell'ultimo piano, dunque ben visibile dall'esterno, che è stato aggiunto alla preesistente costruzione con in qualche modo inevitabile alterazione delle linee originarie dell'intero stabile».
Nel caso di Udine, i giudici di ultimo grado hanno ritenuto impossibile scindere i concetti di decoro architettonico e di aspetto architettonico, regolati rispettivamente dall'articolo 1120 e 1127 del codice civile. La precedente pronuncia in appello, infatti, aveva invece dato ragione al proprietario sostenendo che l'opera realizzata, pur alterando il decoro dell'edificio, ne avesse in ogni caso rispettato lo stile architettonico. Un ragionamento che il condominio aveva ritenuto del tutto illogico sostenendo che, se così fosse, ogni singolo potrebbe far costruire opere brutte seppur rispettose dello stile liberty piuttosto che neoclassico di un palazzo. Posizione condivisa anche dalla Cassazione che ha ritenuto non sostenibile il ragionamento, motivandolo con il concetto di disarmonia estetica all'interno di uno stabile.
In particolare secondo i giudici «la nozione di aspetto architettonico di cui all'art. 1127 c.c., non coincide con quella di decoro di cui all'art. 1120 c.c. (che è più restrittiva): l'intervento edificatorio quindi dev'essere decoroso (rispetto allo stile dell'edificio), e non deve rappresentare comunque una rilevante disarmonia rispetto al preesistente complesso tale da pregiudicarne le originarie linee architettoniche, alterandone la fisionomia e la peculiarità impressa dal progettista». Stabilire quando un manufatto o un'opera non rispetti tali parametri, tuttavia, rischia di dare adito a pronunce caratterizzate da una forte impronta soggettiva. Il rischio è che tali decisioni non possano dettare un indirizzo obiettivo nella regolazione di un tema delicato come il contemperamento del diritto di proprietà con le esigenze di rispetto estetico di un edificio condominiale.
In particolare secondo i giudici «la nozione di aspetto architettonico di cui all'art. 1127 c.c., non coincide con quella di decoro di cui all'art. 1120 c.c. (che è più restrittiva): l'intervento edificatorio quindi dev'essere decoroso (rispetto allo stile dell'edificio), e non deve rappresentare comunque una rilevante disarmonia rispetto al preesistente complesso tale da pregiudicarne le originarie linee architettoniche, alterandone la fisionomia e la peculiarità impressa dal progettista». Stabilire quando un manufatto o un'opera non rispetti tali parametri, tuttavia, rischia di dare adito a pronunce caratterizzate da una forte impronta soggettiva. Il rischio è che tali decisioni non possano dettare un indirizzo obiettivo nella regolazione di un tema delicato come il contemperamento del diritto di proprietà con le esigenze di rispetto estetico di un edificio condominiale.
«È difficile definire la qualità dell'architettura dal punto di vista estetico – spiega Enrico Milone, architetto e presidente Centro Studi degli Architetti dell'Ordine di Roma – Chi stabilisce, infatti, se un intervento rispetta il decoro e l'aspetto di un edificio? A volte lo stravolgimento de parametri crea esempi esteticamente apprezzabili, basti pensare al caso celebre dell'architetto Mario Ridolfi che operò una sopraelevazione del villino di Alatri modificando l'originario stile liberty». Non sempre però è possibile conciliare genio e rispetto delle regole ed è il giudice che, in ultima battuta, deve stabilire cosa possa considerarsi bello o brutto. In casi come quello in esame, i condomini che vogliano ricorrere in giudizio dovrebbero affidarsi a un esperto o ad un progettista capace di valutare eventuali incongruenze e storture stilistiche. Meglio ancora, spiegano gli esperti, rivolgersi a un progettista già durante la fase dei lavori per opere stilisticamente discutibili.
Fonte : Casa24Plus
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